Rita, massacrata a calci dal marito: umiliata, brutalizzata e trattata come un oggetto. Durante la violenza in un bar nessuno è intervenuto ed i carabinieri non hanno adottato provvedimenti nei confronti dell' uomo

Rita ( di spalle ) con l' avvocato Anna Maria Busia

La storia drammatica di una donna 31enne di Monserrato: picchiata e umiliata in pubblico dal marito aguzzino davanti alla figlia di tre anni. Racconta il suo incubo a Casteddu Online, un femminicidio sfiorato: "Sono stata brutalizzata e schiavizzata: lui mi picchiava, andava con prostitute e mi umiliava anche a letto con gesti indicibili di fronte alla bimba"

Finisce al pronto soccorso in fin di vita, massacrata a calci dal marito. La donna ha subito lesioni alla milza e ad un rene per la cieca violenza del compagno padrone. L’episodio è accaduto a Monserrato, vicino Cagliari. Solo un miracolo ha evitato che si ripetesse un altro caso di femminicidio.
La ragazza ha incontrato casualmente il marito in un bar e per futili motivi è stata pestata in modo brutale davanti alla figlia di tre anni, spintonata lontano dal passeggino e scaraventata a terra. Secondo il racconto della donna nessuno è intervenuto in sua difesa e neppure i carabinieri, intervenuti dopo essere stati allertati da alcuni passanti, hanno preso dei provvedimenti restrittivi nei confronti dell’uomo, perché non è stato colto in fragrante. La ragazza, pur claudicante, ha comunque fatto ritorno nella casa di campagna con la sua bambina senza denunciare il fatto. Ma non aveva fatto i conti col suo carnefice che, non soddisfatto di averle dato una lezione in pubblico,appena rientrato ha proseguito la sua opera di brutalizzazione con calci e pugni fino a ridurre in fin di vita la sua compagna. Ora la ragazza è uscita dall’ospedale e vive in una casa protetta con la sua bambina in attesa della separazione legale da quello che lei stessa ha definito una “bestia”.

La vittima è una cagliaritana di 31 anni, che chiameremo Rita per tutelarne la privacy, e ha deciso di raccontare la sua storia e le violenze subite perché altre donne possano seguire il suo esempio e si sentano incoraggiate a denunciare ogni forma di sopruso. “Ho deciso di parlare perché se una donna non rompe il muro del silenzio rischia di rimanere schiava tutta la vita – dice Rita accompagnata dal suo legale Anna Maria Busia – se sei abituata a subire violenze fin da piccola finisci per adattarti considerandole una cosa normale. Ho preso coscienza di quanto stava accadendo grazie alle parole dei medici del pronto soccorso che quando sono arrivata in fin di vita mi hanno detto: ‘oggi lei è in queste condizioni e sappia che con un calcio dato nello stesso modo sua figlia sarebbe morta’.
Ora ho deciso di ripartire più forte di prima ed educare mia figlia in modo autonomo”.

Per la donna la vita è stata durissima e più volte si è sfiorato il dramma.
Sono orfana di padre e madre da quando avevo 9 anni e ho trascorso la mia infanzia in una casa famiglia fino a 12 anni – spiega Rita - quando il Tribunale dei minorenni mi aveva affidato ad una zia materna ho subito abusi sessuali da parte del marito e in quel periodo ho tentato anche il suicidio. Dopo aver studiato in un collegio a Bosa sono rientrata e vivevo con altre amiche. Mi sono diplomata e lavoravo per pagarmi gli studi. Avevo il desiderio di crearmi una famiglia, una realtà che non avevo mai conosciuto e ho sposato un uomo che credevo potesse regalarmi una vita serena. Presto mi sono dovuta ricredere. L’inferno è iniziato presto e mio marito mi usava come se fossi la sua schiava e spesso si ubriacava. Aveva portato la sua cultura agropastorale nelle mura domestiche e mi trattava come un oggetto. La nostra era una famiglia di facciata e io dopo il parto avevo chiuso con lui qualsiasi rapporto. Lui andava con altre donne e con prostitute e mi umiliava a letto con gesti indicibili anche davanti alla bimba”.

Ora la donna si è rivolta allo sportello antiviolenza, teme di finire in mezzo alla strada alla scadenza dei quattro mesi di ospitalità nella casa protetta e lancia un appello alle istituzioni per riprendere la sua vita in modo dignitoso e tenere con se la bambina.
Senza un lavoro e senza un sostegno economico da parte del Comune – conclude Rita - c’è il rischio che la situazione possa aggravarsi”.
La Regione ha emanato una legge sul femminicidio per la tutela delle vittime e ha previsto una spesa di
2 milioni e 500 mila euro per i prossimi anni.
Le donne si rivolgono allo sportello antiviolenza – dice l’avvocato Anna Maria Busia, legale della vittima – però si trovano soluzioni e sistemazioni che sembrerebbero essere solo temporanee. Occorre che ci sia un coordinamento tra le varie componenti, i centri di ascolto, gli sportelli antiviolenza, il pronto soccorso, le forze dell’ordine e le varie associazioni. E’ necessario raccordarsi in modo che l’intervento non abbia soluzioni di continuità. Sto lavorando per realizzare un progetto che metta insieme istituzioni, associazioni ed enti che lavorano per far fronte a questi problemi”.

Aumentano i casi di violenza sulle donne e di femminicidio ma sono numerosi i casi in cui le donne non presentano denuncia. “La storia di Rita ripete i cliché soliti di queste situazioni – spiega l’avvocato Anna Maria Busia – il desiderio di avere una vita propria, un lavoro che le renda autonome e il fatto che vogliano educare i figli con modelli diversi da quelli imposti dalle tradizioni familiari fa scattare reazioni violente in questo tipo di uomini. Agli occhi di questi individui la donna sta sfuggendo al loro controllo. Queste modalità rientrano anche nel comportamento dell’uomo che ha una vita sentimentale parallela. La moglie è come un mobile della cucina e deve restare lì”.

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