Lavoro: licenziamento annullato per motivazioni di una presunta crisi dell' azienda
fonte ilsole24ore.com
Il licenziamento si considera illegittimo se l'azienda è stata costretta a ricorrere alla misura per una crisi nel settore solo presunta e mai dimostrata. La Cassazione con la sentenza n. 21712/12 ha chiarito che il trend negativo dell'impresa (senza specificare in cosa consista) non possa figurare solo nella lettera di licenziamento. L'imprenditore, infatti, è tenuto a illustrare al lavoratore tutti i numeri che lo hanno obbligato a ricorrere a una misura così pesante.
E nel caso concreto non sembrava sussistere un calo di vendite visto che l'azienda, anche a seguito di cessione di fatturato operata nell'anno 2003 in favore di altra società collegata, aveva fatto segnare un +22% sul fatturato. I Supremi giudici hanno considerato anche ulteriori elementi che giocavano a favore dei lavoratori. E in particolare l'assunzione di altra figura da adibire alle stesse mansioni pochi giorni prima del licenziamento e il ricorso al lavoro straordinario. Si trattava di due elementi che di certo non potevano dimostrare una situazione di dissesto economico.
La società da parte sua ha rilevato come
in secondo grado avesse tentato di ricollocare i lavoratori e quindi di aver giocato la carta del "repechage". Peccato che la proposta dell'azienda era per un trasferimento su Roma dei due magazzinieri partenopei. Sul punto la Corte, concordando con quanto disposto nel merito, ha confermato la legittimità del no dei prestatori a un allontanamento dalla sede abitativa. Questo perchè il trasferimento - mutuando un principio di diritto privato - avrebbe pesantemente gravato sulle condizioni dei lavoratori e non avrebbe rispettato quanto previsto dall'articolo 1227 del codice civile con riferimento all'obbligo di cooperazione del creditore.
E proprio sul trasferimento si è concentrata la Cassazione nella sentenza n. 21710/12 depositata sempre nella giornata odierna. La Corte in particolare ha precisato che nulla impedisce al datore di lavoro in caso di necessità di trasferire il lavoratore. Non però quando la misura non trovi un fondamento e serva solo a creare altra società sotto le sembianze di una cessione di ramo d'azienda. In particolare quando la struttura ceduta assuma sotto il profilo giuridico un'indipendenza evidente dalla società principale (sul punto si veda anche la sentenza della Cassazione n. 7096/12). Ricordano a tal proposito i giudici che la società non ha fornito alcuna allegazione al contratto di cessione, così da impedire di comprendere quale fosse l'oggetto della cessione e lasciando pesanti dubbi sulla continuità dell'attività e conseguentemente sulle future mansioni del prestatore.
Il licenziamento si considera illegittimo se l'azienda è stata costretta a ricorrere alla misura per una crisi nel settore solo presunta e mai dimostrata. La Cassazione con la sentenza n. 21712/12 ha chiarito che il trend negativo dell'impresa (senza specificare in cosa consista) non possa figurare solo nella lettera di licenziamento. L'imprenditore, infatti, è tenuto a illustrare al lavoratore tutti i numeri che lo hanno obbligato a ricorrere a una misura così pesante.
E nel caso concreto non sembrava sussistere un calo di vendite visto che l'azienda, anche a seguito di cessione di fatturato operata nell'anno 2003 in favore di altra società collegata, aveva fatto segnare un +22% sul fatturato. I Supremi giudici hanno considerato anche ulteriori elementi che giocavano a favore dei lavoratori. E in particolare l'assunzione di altra figura da adibire alle stesse mansioni pochi giorni prima del licenziamento e il ricorso al lavoro straordinario. Si trattava di due elementi che di certo non potevano dimostrare una situazione di dissesto economico.
La società da parte sua ha rilevato come
in secondo grado avesse tentato di ricollocare i lavoratori e quindi di aver giocato la carta del "repechage". Peccato che la proposta dell'azienda era per un trasferimento su Roma dei due magazzinieri partenopei. Sul punto la Corte, concordando con quanto disposto nel merito, ha confermato la legittimità del no dei prestatori a un allontanamento dalla sede abitativa. Questo perchè il trasferimento - mutuando un principio di diritto privato - avrebbe pesantemente gravato sulle condizioni dei lavoratori e non avrebbe rispettato quanto previsto dall'articolo 1227 del codice civile con riferimento all'obbligo di cooperazione del creditore.
E proprio sul trasferimento si è concentrata la Cassazione nella sentenza n. 21710/12 depositata sempre nella giornata odierna. La Corte in particolare ha precisato che nulla impedisce al datore di lavoro in caso di necessità di trasferire il lavoratore. Non però quando la misura non trovi un fondamento e serva solo a creare altra società sotto le sembianze di una cessione di ramo d'azienda. In particolare quando la struttura ceduta assuma sotto il profilo giuridico un'indipendenza evidente dalla società principale (sul punto si veda anche la sentenza della Cassazione n. 7096/12). Ricordano a tal proposito i giudici che la società non ha fornito alcuna allegazione al contratto di cessione, così da impedire di comprendere quale fosse l'oggetto della cessione e lasciando pesanti dubbi sulla continuità dell'attività e conseguentemente sulle future mansioni del prestatore.
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